Il tema delle pensioni continua a sollevare interrogativi non risolti e preoccupazioni tra la popolazione italiana. Mentre i governi si succedono, l’argomento previdenziale sembra venire sempre messo da parte, lasciando le sue complessità irrisolte. Il recente testo della Legge di Bilancio 2025 non fa eccezione. Include misure riguardanti il sistema pensionistico, inserite però in un ampio schema di provvedimenti, senza una trattazione specifica delle problematiche previdenziali. Questo approccio riflette una preferenza per mantenere lo stato attuale anziché intraprendere scelte decise e coraggiose per affrontare le sfide legate al futuro pensionistico degli italiani.
Nelle fasi di discussione nelle Commissioni, potrebbero emergere miglioramenti minori, come l’eventuale aumento delle pensioni minime, che potrebbe passare da tre a una cifra compresa tra dieci e quindici euro mensili. Tuttavia, l’architettura di base del sistema pensionistico rimarrà praticamente invariata. Le sfide esistenti rimandate di nuovo al futuro, senza alcun piano concreto in vista. I tre istituti che permettono l’uscita anticipata dal lavoro saranno prorogati, ma con un’adesione che non è affatto entusiasta. L’opzione di disincentivare le uscite con un modestissimo incremento del 9,19% netto sullo stipendio, che non si riflette sulle pensioni future, è un modo per sventolare bandiere senza affrontare i problemi reali.
Le promesse di raggiungere pensioni minime di 1.000 euro mensili entro la fine della legislatura possono apparire fantasiose. Certo, mancano meno di tre anni, ma le previsioni relative alla crescita del PIL si attestano a poco più dell’1% nei prossimi tre anni. Queste affermazioni sembrano mancare di concretezza e onestà nei conti. Secondo i dati più recenti forniti dall’INPS, si stima che circa il 30% degli italiani percepisca pensioni inferiori a 1.000 euro lordi al mese, mentre un terzo delle persone pensionate guadagna meno di 500 euro mensili.
Guardando alla fascia di giovani lavoratori, la situazione diventa addirittura allarmante. I giovani si trovano a dover lavorare ben oltre i settant’anni ed essere consapevoli di poter contare su pensioni che saranno al massimo la metà del loro stipendio attuale. Se si considera anche l’aumento dell’aspettativa di vita e la denatalità, il rimandare queste problematicità appare come una strategia pericolosa. Si sceglie di optare per soluzioni temporanee, senza disturbare gli interessi di chi è in cima ai poteri decisionali.
Il futuro della previdenza: proposte innovative e necessità impellenti
Una delle questioni più dibattute è la necessità di separare previdenza e assistenza. Tale operazione, purtroppo, viene frequentemente ostacolata con la giustificazione della difficoltà di gestire due sistemi differenti. Questa divisione, sebbene complicata, permetterebbe di mettere in luce irregolarità e clientelismi, con un potenziale guadagno per le casse dello stato di almeno due o tre miliardi di euro. Le proposte di riforma in questo senso, fino ad ora, sono state ignorate.
Una delle soluzioni più audaci è quella avanzata da Perfetto, Armiliato e Gibbin. Hanno infatti suggerito l’implementazione di un’imposta chiamata IRAUT, applicata non solo alla forza lavoro umana ma anche alla robottica e all’intelligenza artificiale. L’obiettivo sarebbe quello di garantire un contributo al sistema previdenziale, tenendo conto dell’impatto crescente della tecnologia sul mondo del lavoro. Questa proposta è stata presentata a diversi esponenti governativi e alle istituzioni preposte già qualche mese fa, tuttavia l’assenza di cambiamenti significativi è stata lampante.
Sembra che l’opzione di non provocare disagi alle aziende stia prevalendo. Ma se i cambiamenti non vengono attuati, le problematiche previdenziali resteranno, se non addirittura si aggraveranno. Fino a questo momento, il 2025 appare come un’altra occasione perduta per fare in modo che i giovani non debbano essere costretti a lavorare fino a settantadue anni, rendendo così le pensioni sempre più striminzite e lontane dall’adeguatezza richiesta.
Intanto le donne continuano a subire disparità inaccettabili, percependo in media il 40% in meno rispetto ai loro colleghi uomini. La situazione generale è quindi complessa e piena di sfide. Le pensioni minime, vive vicino al limite della povertà, rischiano di aggiungersi ad un contesto di insoddisfazione e, nel peggiore dei casi, di conflitto. Ci si chiede quindi se mai ci sarà un piano concreto per mutare il corso di questo viaggio in problematico.