Piracy Shield sta infiammando il dibattito in Italia, creando non poco brusio tra le autorità e i servizi legittimi. Mentre l’AGCOM, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, sostiene la sua efficacia, a quanto pare, ci sono ben più di un paio di questioni irrisolte. La recente audizione presso la Commissione Cultura della Camera ha visto il Presidente Giacomo Lasorella esporre fatti e rispondere a domande, con la Commissaria Elisa Giomi che ha messo in discussione le affermazioni con toni sorprendenti su LinkedIn. Scopriamo insieme cosa sta realmente succedendo nel mondo del blocco dei contenuti online.
Nel corso della sua esposizione, Lasorella ha enfatizzato i risultati ottenuti dai primi giorni di attivazione di Piracy Shield, risalente al 1 febbraio. Ha riferito di 24 domini, noti come FQDN, bloccati e di circa 7.000 indirizzi IP interessati. Inoltre, ha affermato che l’Autorità ha ricevuto solo due reclami e che gli errori di blocco sono stati sistemati in tempi brevi. Tuttavia, questa dichiarazione di successo ha scatenato le critiche della Commissaria Giomi, che sembra avere un’idea completamente diversa su quanto avviene nel backstage. La piattaforma, secondo Lasorella, è stata una donazione della Lega Calcio, il che in teoria significa che il progetto non ha comportato spese per le casse statali.
La manutenzione è stata poi affidata a Sp Tech, la società legata allo studio legale Previti, per un anno. Ma qualcosa non torna in questo quadro idilliaco dipinto dal Presidente; le obiezioni di Giomi accendono i riflettori su possibili vizi nascosti, suggerendo l’idea che il ritorno alla tranquillità effettiva potrebbe richiedere più tempo del previsto, e che le tanto celebrate prestazioni di Piracy Shield siano ben lontane dalla verità.
Le contestazioni della Commissaria Giomi
Ecco che arriva la reazione di Elisa Giomi, che ha deciso di non lasciare nulla di intentato. In un post su LinkedIn, si è dissociata dalle affermazioni del Presidente, lanciando un chiaro messaggio: l’aggiornamento di Piracy Shield non sta affatto procedendo come dichiarato. Ha evidenziato che uno degli aspetti centrali è la necessità di una reingegnerizzazione, scongiurando l’idea che le ricevute segnalazioni rappresentano il vero problema.
Giomi ha sottolineato la presenza di errori sistematici generati dalla piattaforma, sostenendo che questi non derivano da chi la segnala, ma sono intrinseci al sistema stesso. Ma la questione non si ferma qui; a quanto pare, questi problemi hanno un impatto concreto, creando ritardi di risoluzione e costi significativi. I dubbi, ben piantati, si amplificano ulteriormente quando si contestano le origini della donazione stessa. Secondo Giomi, i metodi adottati avrebbero potuto garantirne la trasparenza, volendo alludere a possibili conflitti d’interesse legati a soggetti privati.
L’inchiesta di Assoprovider e le parole sui diritti fondamentali
La Commissaria non si ferma al semplice confrontarsi, ma tocca anche temi delicati come i diritti di chi gestisce siti e indirizzi IP legittimi. Ricordiamo che le affermazioni fatte non sono solo delle critiche sterili, ma in effetti si collegano direttamente a un lavoro più ampio di protezione dei diritti. Il suo appunto riguardo ai tempi di blocco e sblocco è fondamentale: l’operazione di blocco non dovrebbe mai avvenire senza il giusto rispetto per i diritti fondamentali.
In aggiunta, l’intervento di Assoprovider presso la Corte dei Conti non fa altro che incensare l’inquietudine già palpabile nel caso. E nonostante queste situazioni delineino un quadro da chiarire, il Presidente Lasorella ha indicato il dissenso di grandi aziende come Amazon, Cloudflare e Google, chiudendo il discorso con l’idea che AGCOM non possa esprimere alcuna opinione al riguardo. Eppure, la frattura sembra sempre più evidente.
Al di là dei confini: la lotta alla pirateria in Spagna
Intanto, notizie fresche giungono dalla Spagna, dove la Guardia Civil ha smantellato un canale di streaming illegale che dava accesso a partite della prima e seconda divisione. Un’azione che ha coinvolto leghe sportive e provider di servizi, e senza utilizzare Piracy Shield. Questo porta alla riflessione sul fatto che le pratiche di blocco e controllo della pirateria online non sono un fenomeno esclusivo dell’Italia, ma bensì un dibattito ampio e globale. La questione solleva diverse interrogativi: quali metodi sono davvero più efficaci? E fino a che punto ci si può spingere nel proteggere i diritti di copyright senza calpestare altre libertà?
La vicenda di Piracy Shield continua quindi a fare notizia, e con essa si aprono scenari sempre nuovi. Con tensioni che cresceranno e si evolveranno, gli sviluppi futuri sono estremamente attesi, e non si può fare a meno di immaginare come questo scontro possa cambiare le dinamiche del settore.