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Lavoratori immigrati in forte crescita nell’area Ocse: l’Italia sta perdendo un’opportunità unica

Il panorama lavorativo negli ultimi anni ha subito trasformazioni considerevoli, specialmente nei Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, noto anche come Ocse. Con il tasso di occupazione degli immigrati che ha toccato un picco storico, è fondamentale analizzare non solo i dati generali ma anche il caso specifico dell’Italia, che sembra trovarsi in una posizione piuttosto sfavorevole.

Nel 2023, il tasso di occupazione degli immigrati nei paesi Ocse ha raggiunto una cifra record del 71,8%, un segnale di miglioramento rispetto agli anni precedenti. La disoccupazione è scesa sorprendentemente al 7,3%. Questi numeri non sono solo statistiche, ma rappresentano il risultato di un’integrazione lavorativa che, in molte nazioni, ha visto progressi significativi. La forte domanda di lavoro nelle economie Ocse ha fatto sì che, nel 2023, venissero rilasciati più di 2,4 milioni di permessi di lavoro, segnando un incremento notevole rispetto agli anni passati e persino ai livelli pre-pandemia.

Le nazioni come Canada, Stati Uniti e Regno Unito, in particolare, hanno visto aumentare la loro forza lavoro grazie a politiche di accoglienza e integrazione che facilitano il lavoro dei migranti. In effetti, i rifugiati ucraini rappresentano un esempio emblematico di questo fenomeno. In Paesi dell’Europa orientale come Polonia e Lituania, oltre il 50% di loro è riuscito a trovare lavoro, evidenziando la forza delle politiche di integrazione lente ed efficaci. Tuttavia, questa trend positive non è universale: in nazioni come la Germania e l’Austria, solo uno su quattro rifugiati ha avuto accesso al mercato del lavoro, a causa di barriere linguistiche e politiche meno efficaci.

In quasi tutti i Paesi Ocse, i settori dove gli immigrati trovano maggior occupazione includono il commercio, l’edilizia, la cura delle persone e la ristorazione. Questo dimostra come, sebbene ci siano sfide, esista anche una crescente domanda di lavoratori in ambiti chiave, anche per le economie locali.

La situazione del lavoro in Italia

In Italia, la situazione appare differente. Qui, la popolazione immigrata rappresenta il 10,9% della popolazione totale, circa 6,4 milioni di persone. Nonostante ciò, il tasso di occupazione degli immigrati è solo del 64%, ben al di sotto della media Ocse. La disoccupazione, intanto, è al 10,3%, addirittura superiore alla media europea del 7,3%. Questi numeri parlano chiaro: l’integrazione degli immigrati è un problema persistente nel Bel Paese.

Fattori come discriminazioni, mancanza di corrispondenza tra competenze e richieste di lavoro, oltre a ostacoli burocratici, rendono difficile per gli immigrati inserirsi nel mercato del lavoro italiano. Le istituzioni e l’Inps hanno più volte sottolineato la necessità di migliorare le politiche di integrazione per affrontare l’emergenza occupazionale. Si stima che una maggiore integrazione degli immigrati sarebbe fondamentale per invertire la situazione economica in un periodo medio e breve.

A differenza di quanto avviene in altre nazioni Ocse, dove l’imprenditorialità tra immigrati è fiorente, in Italia il tasso di imprenditorialità tra stranieri è sceso al -6,1% rispetto ai cittadini nativi. Le difficoltà di accesso al credito e mancanza di supporto per l’avvio di attività imprenditoriali rendono la situazione ancora più complicata. Negli ultimi dieci anni, in media Ocse, l’imprenditorialità migrante ha creato circa 4 milioni di posti di lavoro, un dato lontano dalla realtà italiana.

Fenomeno dell’emigrazione dei giovani italiani

Non è solo la difficoltà di integrare i migranti a pesare sulla situazione lavorativa in Italia, ma anche l’emigrazione in aumento degli italiani stessi. Nel 2022, la meravigliosa cifra di 152.000 cittadini italiani ha deciso di trasferirsi verso Paesi Ocse, registrando un incremento del 14% rispetto agli anni passati. La Spagna, la Germania e la Svizzera sono tra le mete più ambite per i giovani italiani in cerca di opportunità lavorative migliori.

Questo “spopolamento” professionale rappresenta un ulteriore problema per l’Italia, che già deve affrontare sfide significative inerenti al suo mercato del lavoro. L’emigrazione dei giovani talenti non solo impoverisce il potenziale innovativo del paese, ma accentua anche le difficoltà economiche e occupazionali di chi rimane. Con dati come questi, diventa evidente quanto sia urgente pensare ad una strategia che riesca a cambiare le attuali dinamiche lavorative e sociali.

Martina Georgi

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