Boom dimissioni e concorsi snobbati: perché il lavoro nel pubblico non è più allettante

L’ondata di concorsi pubblici post-pandemia offre oltre 300.000 posti, ma le rinunce dei vincitori e la crescente insoddisfazione per stipendi inadeguati complicano il panorama del lavoro nella Pubblica Amministrazione.
Boom dimissioni e concorsi snobbati: perché il lavoro nel pubblico non è più allettante - (Credit: quifinanza.it)

Concorsi pubblici: l’ondata di bandi post-pandemia

La questione del lavoro nel pubblico impiego si fa sempre più attuale, specialmente alla luce delle recenti dinamiche emerse post-pandemia. I concorsi pubblici, che una volta garantivano la sicurezza lavorativa, sembrano aver perso parte del loro fascino. Con una nuova crescita dei bandi e migliaia di posti disponibili, emerge un panorama complesso di opportunità ma anche di rinunce inaspettate. Andiamo a scoprire cosa sta succedendo.

Dopo i lunghi periodi dettati dalle restrizioni legate alla pandemia, si è assistito a una rinascita, per così dire, nella sfera dei concorsi pubblici. Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, nei primi otto mesi di quest’anno sono stati aperti oltre 13.000 bandi di concorso, che si traducono in quasi 300.000 posti di lavoro da ricoprire. Il numero, in realtà, è impressionante, perchè corrisponde a un incremento del 176% rispetto all’anno scorso. La domanda è: perché c’è tutta questa necessità di nuovo personale per la Pubblica Amministrazione?

La risposta è semplice. Con un’età media che supera i 50 anni, la PA si trova di fronte a una vera emergenza di turnover. Le proiezioni indicano che entro il 2033 oltre un milione di dipendenti pubblici potrebbe andare in pensione, rendendo necessaria l’assunzione di nuove leve. Malgrado questi numeri incoraggianti per chi cerca lavoro, si registrano anche un gran numero di rinunce da parte di chi supera le selezioni. Sorprendentemente, proprio quando ci si aspetterebbe un’accoglienza calorosa per il tanto agognato posto fisso, i vincitori decidono, per varie ragioni, di dire “no”.

Le ragioni dietro le rinunce ai posti pubblici

Facendo un’analisi più dettagliata, emerge che le rinunce non sono solo un caso isolato. Infatti, sebbene ci sia una domanda in aumento per il personale, il numero di candidati sembra essere in calo. Lavoratori e giovani talenti sembrano titubanti di fronte all’idea di un posto fisso, ormai associato a un’immagine di rigidità e a tempi di attesa per le promozioni che lasciano molto a desiderare.

In particolar modo, molti candidati preferiscono orientarsi verso il settore privato o opportunità all’estero. Le differenze salariali, i pacchetti di benefit e le prospettive di carriera più dinamiche nel privato attirano sempre più giovani laureati. La voglia di flessibilità, di una carriera che possa valorizzare il merito piuttosto che l’anzianità, sono fattori determinanti che fanno desistere dal tentare la fortuna nei concorsi pubblici.

Questo aspetto è amplificato anche dal fenomeno delle rinunce a contratti a tempo determinato, con punte che in alcuni casi raggiungono il 50%. Ciò significa che, mentre i posti disponibili aumentano, sempre più vincitori scelgono di rimanere in attesa di meglio, magari già impiegati in altre selezioni o opportunità.

Il carovita e il lavoro pubblico: una combinazione insostenibile

Non è da trascurare la questione del costo della vita, che si sta facendo particolarmente pesante in alcune città italiane. C’è una crescente insoddisfazione nei riguardi degli stipendi offerti dal pubblico impiego. Infatti, le retribuzioni degli impiegati pubblici risultano spesso non competitive, portando i giovani e i laureati a cercare impieghi altrove, nei settori tecnologici o creativi, dove è molto più facile reperire stipendi appetibili.

Casi locali mostrano chiaramente questo trend: i vincitori di concorsi pubblici si trovano spesso a doversi trasferire lontano dalla propria città d’origine, a costi di vita più elevati che non giustificano un salario già modesto. Le preoccupazioni riguardanti l’allontanamento dalla famiglia e dai legami sociali fanno eco alla necessità di trovare un equilibrio tra vita professionale e personale.

La stabilità di un posto pubblico non è più vista come una panacea, eppure chi aspira a una vita più equilibrata si trova di fronte a un dilemma: sicurezza economica sì, ma quanto è disposto a sacrificare del proprio tempo e delle proprie passioni?

Situazioni concrete e il caso di Milano

Ed è qui che entrano in gioco alcune statistiche interessanti. In alcune aree, come Milano, si evidenzia un trend allarmante. Solo tra gennaio e giugno 2023, si sono contate circa 6.000 dimissioni nel pubblico impiego. Le ragioni? Principiamente stipendi percepiti come inadeguati e l’assenza di valorizzazione del personale. Un clima di insoddisfazione inizia a permeare il lavoro pubblico, rendendo dinamicità e opportunità di carriera quasi irraggiungibili.

Dallo scorso anno, il numero dei dipendenti pubblici a Milano è calato drasticamente di circa il 15%, traducendosi in 32.000 posti di lavoro persi. Un trend che colpisce non solo i servizi sanitari ma anche altre forze dell’ordine e un settore già provato dall’emergenza.

Se questa perdita di personale è preoccupante, lo è ancor di più il fatto che, nonostante i recenti aumenti retributivi del 8% segnalati dagli enti statistici, questi rimangono ampiamente inadeguati rispetto all’inflazione. La combinazione di opportunità lavorative in calo e di stipendi insoddisfacenti fa sentire i lavoratori pubblici sempre più insoddisfatti e desiderosi di cercare altrove.