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Siria, chi vince e chi perde dopo la caduta di Assad: Russia e Iran indeboliti, Turchia esulta a Damasco

La recente caduta del regime di Bashar Al-Assad sta generando una serie di ripercussioni nel contesto geopolitico del Medio Oriente. Questo evento, che ricorda il tumultuoso crollo afghano, si manifesta come l’effetto di un indebolimento di alleati chiave come Iran e Russia, entrambi coinvolti in conflitti complessi. Con l’ascesa di nuovi attori sulla scena, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan sta capitalizzando la situazione, pronto a rimettere in gioco gli equilibri di potere nell’area, mentre la comunità internazionale osserva con attenzione le mosse in corso.

Il crollo del regime di Assad e le sue implicazioni

La rapida disfatta di Bashar Al-Assad in Siria costituisce il culmine di una strategia geopolitica che ha assunto toni drammatici negli ultimi anni. Diversi fattori hanno contribuito a questo esito, tra cui la crescente debolezza dei principali alleati del regime. Mentre Erdogan si erge come protagonista della crisi, Assad si trova costretto a cercare rifugio a Mosca, insieme alla sua famiglia. La fuga da Damasco enfatizza l’instabilità regnante, con il timore che una nuova ondata di rifugiati siriani possa riversarsi in Turchia, aggravando ulteriormente la situazione nei paesi limitrofi, tra cui il Libano. L’influenza curda potrebbe crescere, dibattendo una variabile significativa in un contesto così incerto.

Il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, ha avvertito riguardo al potenziale scenario di guerra che potrebbe svilupparsi, soprattutto in Libano, dove la situazione economica e sociale è già precaria. Quello che si stava profilando come un insediamento militare solido per Assad, si è trasformato in una corsa per la sopravvivenza. Il crollo del regime espone Dmitrij Medvedev agli occhi dei critici russi, dato che la guerra in Ucraina ha impedito a Mosca di esercitare un supporto ritenuto essenziale per la sostanza del governo del presidente siriano.

Erdogan tra opportunità e sfide

Dopo la sconfitta di Assad, Erdogan si presenta come il vincitore di questa cruda partita. La sua strategia si fonda su alleanze mirate, come dimostrato dal sostegno a ribelli tra cui Al Jolani, ex attivista di Al-Qaeda. Attraverso queste manovre, Ankara mira a garantire il rimpatrio di circa 4 milioni di profughi siriani. Il prossimo obiettivo di Erdogan è quello di riformulare la gestione del Nord-Est siriano, dove sono attivi i gruppi curdi. A sua volta, tale rivendicazione potrebbe portare a un’ulteriore destabilizzazione della regione.

Il cambio di rotta nei rapporti di forza giova alla Turchia, la quale si sta affermando come mediatrice in una serie di colloqui delicati per una pace duratura tra Mosca e Kiev. Sinirlioglu, il nuovo diplomatico turco, avrà un ruolo chiave nelle future negoziazioni. Nel frattempo, le parole di Donald Trump, che ha celebrato il collasso del regime di Assad come un punto di svolta, sottolineano l’importanza di Ankara nell’assetto geopolitico attuale.

La posizione di Iran e Russia: I grandi sconfitti

L’Iran e la Russia si trovano in una posizione decisamente scomoda, essendo i principali sponsor di Assad. L’Iran, guidato da Khamenei, non è riuscito a difendere il suo alleato in modo efficace. Sebbene ufficialmente l’aiuto non sia stato richiesto, in realtà, il sostegno militare è stato compromesso da attacchi israeliani focalizzati sui punti strategici in territorio iraniano. La guerra continua a mietere vittime, e l’affermazione di potere in Siria sembra sfuggire di mano.

Putin ha giocato d’azzardo in Siria, mirando a rilanciare il prestigio della Russia come grande potenza mondiale. Tuttavia, la mancanza di risorse, a causa delle sue priorità in Ucraina, ha dimostrato la vulnerabilità della Russia in questo scenario. Se gli insorti riuscissero a garantire la sicurezza delle basi militari russe in Siria, i danni ai piani di Mosca sarebbero notevoli. L’abbandono del regime nelle mani dei ribelli speranzosi segna un difficile passaggio per Putin, già sotto pressione internazionale.

L’intervento israeliano e la nuova era di conflitti

Nell’onda di questa instabilità, le forze israeliane hanno varcato la linea del fronte siriano, un’azione che non si verificava dal conflitto del Yom Kippur del 1973. Il New York Times ha riportato che la situazione era già in rapido sviluppo, con i ribelli che guadagnavano terreno e conquistando Damasco. Se da un lato questo segna un aumento dell’attività militare israeliana nella regione, dall’altro porta a una crescente incertezza sull’equilibrio di potere nella zona.

Israele, noto per i suoi interventi discreti in Siria, ha colto l’occasione per stabilire una presenza strategica in un contesto di crescente vulnerabilità del regime di Assad. L’occupazione del Monte Hermon cementa il controllo della nazione e definisce la posta in gioco per i gruppi militanti come Hezbollah, che hanno trovato un avversario letale nei conflitti attuali. La situazione appare sempre più complessa, in un contesto già storto da tensioni interne e rivalità regionali.

La situazione in Libano e il futuro della regione

Il quadro complessivo rimane fragile, con il Libano afflitto da tensioni economiche prolungate e divisioni interne. Crosetto ha messo in luce come l’instabilità in Siria potrebbe avere ripercussioni dirette sul Libano, dando vita a conflitti etnici e religiosi che potrebbero culminare in una violenza aperta. Le ambizioni di potere nel Mediterraneo e in Africa vedono ora un equilibrio da riconsiderare.

La questione migratoria rimane un punto nevralgico. Erdogan, di fronte a un’Unione Europea indebolita, potrebbe approfittare della situazione per controllare i flussi di rifugiati verso i Paesi europei, una carta strategica da giocare. Il futuro della regione appare incerto e ogni mossa avrà conseguenze imprevedibili, sia sul piano interno che nei rapporti col resto del mondo.

Laura Conti

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