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Suicida a 21 anni in cella a Milano. Due agenti sotto inchiesta: Marco Rossi e Luca Bianchi

La recente morte di Amir Dhouiou, un ragazzo tunisino di 21 anni, ha scosso le fondamenta del sistema penitenziario italiano. Arrivato nel carcere di Marassi, a Genova, da pochi giorni, Dhouiou si è tolto la vita il 4 dicembre, suscitando interrogativi sul protocollo di sicurezza e sull’assistenza ai detenuti in difficoltà. Accusato di furto e resistenza, il giovane si trovava in una fase vulnerabile, ma ciò non ha impedito la tragedia. Le indagini hanno rapidamente preso piede, portando alla sospensione di due agenti di polizia penitenziaria, ora sotto inchiesta per omicidio colposo. La magistratura ha disposto un’autopsia per chiarire le circostanze della morte e se ci siano state negligenze.

La drammatica scomparsa di Amir Dhouiou

Amir Dhouiou, con un passato che lo ha portato a cercare opportunità lontano dalla sua Tunisia, si trovava nel carcere di Marassi per reati legati a furti, un percorso che già di per sé rappresentava una dura prova. Il giovane aveva appena iniziato a scontare la sua pena, ma purtroppo non ha avuto il tempo di ricevere il supporto necessario. Le ore che hanno preceduto la sua morte sono ora al centro di un’indagine approfondita. Mentre il ragazzo si confrontava con la realtà della detenzione, le sue condizioni psicologiche potevano essere segnate da vulnerabilità e solitudine. La mancanza di uno stretto monitoraggio potrebbe aver contribuito a questo tragico epilogo.

Le notizie che circolano attorno al caso rivelano che, una volta entrato nel carcere, Dhouiou è stato collocato in un’area dove il controllo sulle sue condizioni di salute mentale e fisica sembra non sia stato ritenuto sufficiente. Sarà compito degli inquirenti verificare se le procedure di sorveglianza siano state rispettate o se ci sia stata qualche lacuna che ha permesso che un giovane potesse compiere un gesto così estremo. La sofferenza di chi si trova a vivere esperienze così drastiche all’interno di istituti penitenziari è un tema di rara attenzione, ma di fondamentale importanza.

Indagini sulle procedure di sicurezza nel carcere

Le indagini aperte dalla procura si concentrano ora sulla valutazione dei protocolli di sicurezza adottati nel carcere di Marassi. È stato accertato che due agenti penitenziari sono stati indagati per omicidio colposo, una mossa che evidenzia un possibile fallimento nell’assistenza ai detenuti. Come avvenuto nel caso di Dhouiou, il sistema carcerario deve far fronte a crimine e punizione, ma anche comprende la responsabilità di tutelare il benessere dei detenuti.

L’aspetto più delicato riguarda le modalità di sorveglianza e l’efficacia del supporto psicologico. La mancanza di una rete di aiuti o di un piano di monitoraggio facile da attuare rappresenta un problema serio da affrontare. In molti casi, i detenuti arrivano da contesti segnati da traumi e difficoltà, il che aumenta la necessità di un intervento adeguato. Le linee guida per la gestione della salute mentale all’interno delle carceri sono chiare, ma come evidenziato da questo episodio, la loro attuazione lascia spesso a desiderare.

In questo contesto, la magistratura ha ordinato l’autopsia sul corpo di Dhouiou per stabilire le cause esatte della morte. Il responso dell’autopsia costituirà un tassello chiave per comprendere le reali dinamiche che hanno portato a questo drammatico evento, aprendo la strada a rapidi provvedimenti qualora emergessero responsabilità definite.

Un evento che solleva domande sul sistema carcerario

Il caso di Amir Dhouiou non è solo un triste episodio personale, ma l’ennesima testimonianza delle fragilità del sistema carcerario italiano. La vita dietro le sbarre mette a dura prova ogni detenuto, specialmente i più giovani, e ciò pone interrogativi sulla capacità delle istituzioni di garantire la sicurezza e il supporto necessari. Questo episodio è l’occasione per rivedere e riconsiderare le linee guida esistenti e ridisegnare le strategie di approccio, mettendo il benessere dei detenuti al centro di un discorso più ampio.

Soprattutto, è urgente che le autorità competenti affrontino il problema della salute mentale tra i detenuti, riconoscendo che la detenzione non deve trasformarsi in un’ulteriore forma di isolamento e abbandono. La comunità e l’opinione pubblica hanno il diritto di sapere quale sarà la risposta alle necessità che emergono da simili tragici eventi. Solo una seria revisione delle procedure può contribuire a prevenire futuri incidenti e a garantire che i diritti di ogni individuo siano rispettati anche all’interno delle strutture carcerarie.

Giulia Martini

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