La violenta esplosione nel deposito Eni di Calenzano, avvenuta il 9 dicembre, ha lasciato dietro di sé una scia di dolore e distruzione, culminando nella morte di cinque persone. L’episodio ha spinto le autorità a mettere sotto sequestro l’impianto per condurre un’inchiesta approfondita sulle cause che hanno portato a questa tragedia. Sono emerse segnalazioni di anomalie e malfunzionamenti, sollevando interrogativi sul mancato intervento per risolvere problemi preesistenti.
La procura di Prato ha deciso di sequestrare il deposito Eni, luogo della tragica esplosione. Gli investigatori stanno effettuando sopralluoghi per determinare la causa della deflagrazione che ha squassato l’impianto in un momento critico. L’epicentro dell’esplosione sembra essere situato vicino alle pensiline di rifornimento per le autobotti, e l’interruzione delle operazioni di approvvigionamento e distribuzione di carburanti è stata immediata. In questo frangente, la priorità è stata data anche alla gestione delle acque potenzialmente inquinate. Le indagini sono in corso per chiarire il contesto e l’eventuale responsabilità che ha portato a questo drammatico evento, ricco di conseguenze per l’intera comunità.
Secondo i primi rilievi emersi, il giorno della tragedia era in atto una manutenzione straordinaria dei macchinari. Tuttavia, queste operazioni non erano sufficienti a garantire la sicurezza degli operai presenti. Un dipendente, pochi istanti prima dell’esplosione, ha notato un’anomalia nelle attrezzature mentre si svolgeva la manovra di carico di un autobotte. Questo operatore ha prontamente dato l’allerta e fortunatamente è riuscito a mettersi in salvo. La segnalazione lanciata dal lavoratore è stata accompagnata da una lettera di una delle vittime, inoltrata a ottobre, in cui si faceva riferimento a «continue anomalie sulla base di scarico». Questo apre un baratro di interrogativi sulla gestione della manutenzione e sulla risposta dell’azienda rispetto alle segnalazioni degli operai.
Un altro aspetto che suscita preoccupazione è il ritardo dell’allerta ai residenti nelle zone limitrofe. L’esplosione è avvenuta alle 10.20, ma l’avviso di pericolo, emesso tramite il sistema di allerta IT Alert, è stato comunicato soltanto alle 11.25. Il messaggio, che avvisava della presenza di sostanze tossiche nell’area, invitava i cittadini a cercare riparo e di mantenere una distanza di sicurezza dall’impianto. Questo lasso di tempo critico ha sollevato ulteriori polemiche e domande sulla gestione della crisi da parte delle autorità locali e sulla protezione della popolazione.
Il deposito Eni non era sconosciuto alle preoccupazioni legate alla sicurezza. Già nel 2020, alcune associazioni avevano avvertito riguardo ai rischi connessi all’installazione. Sottolineando la pericolosità dei vapori emessi, Medicina Democratica aveva lanciato l’allarme su un’alta mortalità nella zona collegata a questi fumi. Le preoccupazioni non si limitavano solo alla salute pubblica; anche la posizione del deposito, molto vicino a residenze e attività commerciali, era vista come una grande vulnerabilità in caso di incidenti. La frase inquietante utilizzata dall’associazione, che sosteneva che «un’esplosione avrebbe spaccato l’Italia», risuona ora con drammaticità alla luce degli eventi recenti.
La comunità di Calenzano si trova ora a dover elaborare un trauma collettivo, mentre le indagini continuano a svelare le dinamiche di questo tragico evento. Le domande su come sia potuto accadere tutto ciò restano senza risposta, e l’attenzione si sposta su come garantire che simili incidenti non si ripetano in futuro.
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