Il 9 dicembre, il deposito Eni di Calenzano ha fatto notizia per un grave incidente che ha causato vittime e feriti, riaccendendo il dibattito sulla sicurezza dell’impianto. Nonostante le direttive Seveso, che evidenziavano il rischio elevato in questa zona, si è continuato a costruire nelle vicinanze. In questo articolo vengono esaminati i fattori storici, politici e urbanistici che hanno portato a questa situazione, evidenziando come le istituzioni abbiano permesso lo sviluppo attorno a strutture a rischio.
Giuseppe Carovani, sindaco di Calenzano, ha sollevato preoccupazioni in merito alla sicurezza del deposito Eni, richiedendo un trasferimento dell’impianto, visto il rischio che rappresenta per la comunità. Tornato a ricoprire il ruolo di sindaco nel 2024 dopo due mandati dal 1999 al 2009, Carovani ha sottolineato che nonostante le misure di emergenza approntate venti anni fa, la situazione attuale impone una rivalutazione urgente. Le sue affermazioni si allineano con quelle di Eugenio Giani, governatore della Toscana, il quale ha affermato che il contesto attuale attorno al deposito è inadeguato e non riflette la realtà urbanistica attuale rispetto a quella del 1956, anno di costruzione dell’impianto. Entrambi i politici hanno espresso che oggi l’area è densamente abitata, con la presenza di capannoni e abitazioni a pochi passi dall’impianto, aumentando così il livello di rischio per i cittadini.
La dichiarazione del governatore Giani è stata chiara: l’impianto, originariamente posto in una zona isolata, ora non può più rimanere dove si trova. Ciononostante, la questione resta complessa, dato che l’incidente ha suscitato reazioni emotive e preoccupazioni per l’incolumità pubblica, amplificando le richieste di cambiamenti reali e tangibili.
La storia del deposito Eni di Calenzano risale al 1956, anno in cui l’area era prevalentemente rurale e priva di sviluppo. La sua costruzione avvenne in un contesto di totale assenza di urbanizzazione. Gli unici segnali di vita nella zona erano rappresentati da qualche attività agricola e da un lontano aeroporto turistico, che accoglieva sporadicamente aerei privati. Va evidenziato che le infrastrutture moderne e i quartieri residenziali intorno al deposito sono stati realizzati in un periodo successivo, spesso grazie a permissi concessi dalle stesse amministrazioni che oggi si stanno interrogando sulla sicurezza dell’area.
Dopo l’introduzione delle direttive Seveso, che hanno evidenziato i rischi associati all’impianto, nonostante le informazioni e i divieti, i permessi per nuove costruzioni sono continuati ad arrivare. Calenzano, Sesto Fiorentino e Campo Bisenzio, tra gli altri, hanno approvato lo sviluppo residenziale e commerciale nelle immediate vicinanze del deposito, complicando ulteriormente la situazione di sicurezza. Questo fenomeno dimostra una mancanza di coerenza nelle politiche di pianificazione territoriale e solleva interrogativi sulle responsabilità di chi ha concesso tali permessi.
Un capitolo affascinante della storia del deposito Eni è legato all’edificazione della chiesa di Santa Maria delle Grazie, voluta da Padre Pio. La costruzione della chiesa fu il risultato di un progetto avviato da Giovanni Bardazzi, il quale, spinto da una serie di eventi personali e dalla sua conversione religiosa, decise di dedicarsi alla creazione di un luogo di culto. Mentre il deposito era sorto in mezzo a campi e prati, la chiesa ha mantenuto la sua posizione accanto a un’industria ad alto rischio, una scelta che oggi sembra discutibile alla luce degli eventi recenti.
La narrazione di questa costruzione rappresenta un paradosso, evidenziando come le comunità locali abbiano prima accolto e successivamente cercato di giustificare le scelte urbanistiche in un contesto di sviluppo rapido. L’interesse di vari gruppi, unito a una governance che ha incentivato lo sviluppo industriale anche in zone critiche, ha contribuito a creare un’area densamente popolata attorno a un deposito di carburanti, aumentando le preoccupazioni per la sicurezza delle popolazioni locali.
Negli ultimi decenni, Calenzano ha visto spettacolari sviluppi urbanistici, con la realizzazione di strutture sportive proprio a ridosso del deposito Eni. Negli anni Ottanta, fu inaugurato lo stadio comunale Paolo Magnolfi, mentre nel 2022 è stato inaugurato un ulteriore campo da calcio. Queste costruzioni sono state accompagnate dalla creazione di una piscina municipale e di un centro sportivo, strutture che ora si trovano a pochi passi da un impianto classificato ad alto rischio.
Il comune, quindi, sembra non aver avuto una visione lungimirante riguardo alla sicurezza. Queste scelte, abbinate a permessi per lo sviluppo commerciale, hanno generato un contesto che oggi appare contraddittorio. Le istituzioni locali hanno operato senza evidenziare i reali pericoli insiti nell’accostare infrastrutture di svago e sport a un deposito di sostanze pericolose, evidenziando un tema centrale: la mancanza di un approccio coerente e integrato nella pianificazione territoriale.
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