La vicenda di una bambina allontanata dai suoi nonni a Savona ha assunto una forte rilevanza grazie alla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo , che ha costretto il governo italiano a riconoscere le violazioni subite dalla famiglia. Per cinque lunghi anni, la piccola è rimasta lontana dai suoi familiari, costretta a vivere con una madre affidataria che, sorprendentemente, era la sorella dell’assistente sociale che aveva curato il suo caso. Questa storia, che ha suscitato emozione e indignazione, mette in luce la necessità di una maggiore vigilanza e responsabilità da parte delle autorità competenti.
Nel marzo del 2016, la vita di una neonata cambia per sempre. Il Tribunale dei minori di Genova dichiara la piccola adottabile a causa della presunta incapacità dei genitori di prendersi cura di lei. Da quel momento, la custodia viene affidata al Comune di Borghetto Santo Spirito, che a sua volta delega il compito a un’assistente sociale. Fin dall’inizio, i nonni della bambina chiedono di poterla accogliere nella loro famiglia, ma le loro richieste vengono sistematicamente respinte.
Dopo alcuni anni, emerge una connessione inquietante: l’assistente sociale ha scelto di collocare la bambina presso una famiglia affidataria i cui membri sono legati da un rapporto di parentela. Questo abbinamento, che solleva interrogativi etici e legali, non viene notato fino al 2019, quando un curatore speciale del Tribunale scopre la verità. I nonni, riempiti di speranza, denunciano la situazione e fanno nuovamente richiesta di affido. Nonostante le difficoltà, la loro ostinazione porta a un appello che finalmente riconosce il diritto della bambina di tornare a vivere con loro.
Dopo anni di battaglie legali, arriva la pronuncia della Cedu. I giudici non emettono nemmeno una sentenza, poiché il governo italiano ha già riconosciuto le gravi violazioni dei diritti della minore, in particolare l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani, che tutela il rispetto della vita familiare. La pronuncia è storica: lo Stato riconosce un errore e ammette la necessità di risarcire la famiglia per il danno morale subito. Saranno 55mila euro ad essere corrisposti, una somma che rappresenta solo parzialmente il costo emotivo e psicologico sostenuto dalla bambina e dai nonni.
La Procura di Savona, da parte sua, sostiene che la procedura di affido non costituisse reato. Senza l’epica determinazione dei nonni, la minore sarebbe forse rimasta lontana dalla propria famiglia, continuando a vivere con la madre adottiva. Questo solleva inquietanti interrogativi su come i procedimenti di affido siano gestiti e su quali misure di controllo vengano attuate per garantire l’integrità e il benessere dei minori coinvolti.
Dopo la decisione della Cedu, il caso non è chiuso. Ora spetta alla Corte dei Conti verificare se esistono responsabilità erariali legate a questa vicenda e decidere su eventuali ulteriori risarcimenti. La situazione mette in evidenza non solo l’aspetto umano della questione, ma anche l’urgenza di un ripensamento delle pratiche adottate nel campo dell’affido.
Con la bambina ora tornata a casa dai nonni, si apre un nuovo capitolo della sua vita, ma la ferita e l’ingiustizia vissuta nei suoi anni di lontananza rimangono. Questo caso rappresenta una lezione importante su come la protezione dei diritti dei minori debba essere una priorità assoluta. La società deve interrogarsi su chi ha il compito di proteggere i più vulnerabili, assicurandosi che le voci di chi subisce ingiustizie vengano ascoltate e rispettate.
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